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Il Programma Baby Signs e le emozioni nello sviluppo preverbale

 

Il Programma Baby Signs si costituisce come un sistema di segni codificato utilizzato nell’interazione con infanti e toddlers preverbali. Nasce dal lavoro di Linda Acredolo (professore emerito di Psicologia presso l’Università di California, Davis) e Susan Goodwyn (professore di psicologia presso la California State University, Stanislaus), dottoresse-mamme che hanno condotto le ricerche sui gesti simbolici, rivoluzionando la comunicazione con i bambini e ispirando il libro“Baby Signs: How To Talk With Your Baby Before Your Baby Can Talk” (sito web Baby Signs Italia, le ideatrici).

  1. D. Vallotton si interroga sul fatto che gli infanti possano riconoscere le emozioni e le sensazioni che provano loro stessi e che vedono negli altri prima dello sviluppo verbale. Studi attuati tramite il metodo dell’abituazione hanno dimostrato che gli infanti già a due/tre mesi possono comprendere la differenza tra espressioni facciali positive o negative e a sette mesi discriminare un numero sempre maggiore di categorie e intensità di emozioni diverse (come riesaminato da Nelson, 1987). Gli studi a riferimento sociale che usano la tecnica “visual cliff” sulla percezione della profondità e sugli oggetti nuovi hanno stabilito che gli infanti di dodici mesi capiscono il significato contestuale delle espressioni della propria madre e si comportano di conseguenza. (i.e. Sorce, Ernde, Campos,, & Klinnert, 1985).

Lo sviluppo della capacità di rappresentare emozioni è un’integrazione tra abilità cognitive e abilità emotivo-sociali, ed è stata studiata attraverso lo sviluppo del linguaggio infantile, usato dai bambini per descrivere sentimenti ed emozioni altrui. La questione sottesa allo studio di Vallotton è se i bambini tra il primo anno di vita (dove è stato provato che riconoscono la differenza tra diverse emozioni) e i due/tre anni (dove gli studi si concentrano sull’abilità di verbalizzare esplicite rappresentazioni delle emozioni) e appartenenti quindi ad una sorta di fase preverbale, possano rappresentare esplicitamente di aver compreso un’emozione. La rappresentazione degli oggetti materiali e dei concetti astratti avviene fisicamente prima che oralmente. I gesti sono azioni intenzionali attraverso le quali si comunica qualcosa, ne è un esempio il “pointing” ovvero il segno di indicare qualcosa a cui ci si riferisce, che si sviluppa intorno ai nove mesi di vita, (Carpenter, Nagell, e Tomasello, 1998; Crais, Douglas e Campbell, 2004) o lo “showing” attraverso il quale costruire l’interazione con gli altri (Bates, O’Connell, e Shore, 1987). Questi segni sono intenzionali e comunicativi e rappresentano l’inizio delle abilità di creare significati condivisi.

Lo studio di Vallotton analizza ventidue bambini: dieci appartenenti all’infanzia e dodici all’età della toddlerhood, figli di studenti universitari e inseriti in un programma educativo nel quale i caregivers usavano con loro gesti simbolici durante la routine quotidiana e nelle interazioni spontanee, senza invitarli forzatamente ad usarli. I Caregivers utilizzano in totale settant’uno gesti simbolici che includono segni riferiti a sentimenti, emozioni e concetti temporali. Le sensazioni vengono definite come sensazioni fisiologiche che possono risultare da stimoli interni o esterni, mentre le emozioni sono stati psicosociali interni e il concetto di tempo è invece rilevante in quanto l’auto regolazione delle emozioni è legata al concetto di passato e presente. Il metodo utilizzato prevede l’uso di videoregistrazioni della routine quotidiana: ogni infante viene registrato cinque minuti per quaranta volte nel corso di otto mesi, mentre i bambini della toddlerhood vengono registrati quindici volte nel corso di tre mesi e mezzo. Ogni videoregistrazione è stata codificata secondo la presenza di gesti, se intenzionali e comunicativi, divisi in categorie che ne definiscono vari aspetti, e secondo i contesti conversazionali, ovvero se il gesto si origina dal bambino stesso, se è in risposta all’adulto o se lo imita. I risultati mostrano che venti bambini su ventidue hanno prodotto cinquant’uno gesti diversi tra loro; nove bambini utilizzano almeno un gesto emotivo o di sensazione, o entrambi; sei usano i gesti emotivi, cinque i gesti di sensazioni e undici usano gesti riferiti a indicatori temporali. L’emozione della felicità ad esempio è stata espressa attraverso i gesti da un infante, la sensazione del freddo da quattro toddlers, il concetto di tempo “dopo” da un infante e quattro toddlers. Un esempio di interpretazione e categorizzazione dei gesti dei bambini è quello di Alana di quindici mesi che ripetutamente fa il gesto di aver sonno, quando le viene chiesto se è stanca si indica, questo viene categorizzato come espressione del proprio stato interno corrente. Sophie di nove mesi viene trovata mentre piange da un suo caregiver che le chiede per quale motivo lei sia triste, ma lei attraverso i segni lo/la corregge e si definisce arrabbiata, dimostrando di poter chiarificare i suoi stati interni dopo un’incomprensione genitoriale e distinguere due diverse emozioni negative.

Per essere certi che gli infanti esprimessero realmente delle emozioni, delle sensazioni e dei concetti di tempo attraverso i gesti e non come semplice imitazione dei genitori è stata usato un test di distribuzione binomiale. Sono state trovate molte istanze di gesti riferiti a sensazioni o emozioni che hanno ottenuto una stima valida di significato statistico. (Infanti Mental Health journal)

L’autore si è posto il problema che gli infanti potessero rappresentare espressioni esteriorizzate e non stati interni, questo in riferimento a ciò che è stato argomentato da Werner e Kaplan su fatto che i nostri simboli vengano costruiti sopra alle azioni. Tale inferenza non è però applicabile a tutti i gesti riferiti ad emozioni, ad esempio definirsi spaventati o arrabbiati non si riferisce ad azioni specifiche coerenti con configurazioni facciali, ma prevede di saper scindere tra due rappresentazioni astratte.

Si può porre attenzione in diversi modi alle implicazioni cliniche dell’uso di gesti simbolici con i bambini preverbali. Prima di tutto la possibilità di esprimere i propri stati interni permette di diminuire la frustrazione causata dall’incomprensione tra genitori e figli, questo è stato studiato da Acredolo e Goodwyn (1988) attraverso delle interviste qualitative che investigavano il miglioramento della relazione genitori-figli dal momento dell’utilizzo del baby Signs Program. L’utilizzo di gesti simbolici può essere il tramite per stimolare i bambini a parlare delle proprie emozioni in tutte le circostanze; può permettere una conversazione genitori-figli a doppia senso dando loro la possibilità di parlare delle proprie emozioni e di quelle degli altri bypassando la tendenza genitoriale a negare le emozioni negative; infine possono permettere la costruzione di uno schema interpretativo di emozioni e del mondo stesso, cosa che secondo Vygotsky avviene appunto tramite i simboli e le parole.

 

 

 

Dott.ssa Anna Vecchione

Articolo “Il Programma Baby Signs e le emozioni nello sviluppo preverbale”        

per il corso di Psicologia Clinica, A.A. 2016/7                                                                                             

 

 

Bibliografia:

“Signs of emotion: what can preverbal children “say” about internal state?” C.D. Vallotton, University of California, Davis

 

 

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